UNA SFILATA DI STUPIDITÀ (di Diego Sergio Anzà)
Eccoli che arrivano, come sempre e sempre uguali. Ad ogni Prima, sulla Scala dell’oscenità che si crede bellezza. Sul palcoscenico si muove il genio, nel parterre razzolano galline con le penne colorate ed incedono pinguini lucidati.
Sciocchezza e vanità sono compagne inseparabili. L’unica cura contro la vanità è il riso, e l’unico difetto ridicolo è la vanità.
Madama Butterfy si uccide in una tragica bellezza. Donnette ingioiellate ed ometti inamidati uccidono la bellezza. Il grottesco ossimoro di ogni Prima alla Scala di Milano.
È impossibile pensare che questo corteo di agghindata stupidità possa incontrarsi con Puccini. Il trionfo della banalità non può capire l’arte. La disconosce, ne fa un uso pornografico. Non c’è alcun nesso tra i brillanti e lo straziante dolore di una geisha tradita. Non è consentito lisciarsi il frac mentre scende dal paradiso il pentagramma di Puccini.
Il fatto è che la vanità è per gli imbecilli un’insopprimibile fonte di soddisfazione. Essa permette loro di sostituire alle qualità che non acquisteranno mai, la convinzione di averle sempre possedute. Uno spettacolo osceno ai piedi del grande, vero spettacolo. Così svenevoli nobildonne, attricette–olgettine, cariatidi sciancate, carrieriste chanellate, manager rolexati, petrolieri infarfallati, giovanotti speranzosi, giornalisti intrespolati e stellati politici della buon’ora (per fortuna stavolta solo locali), si avvolgono in sete e lane pregiate e dichiarano la loro inutile presenza al mondo.
La Butterfy merita rispetto, non la si può offendere così. La grande arte non può essere vilipesa da tanta nullità.
La grande arte è anche espressione di libertà e di democrazia. Chi lo ha deciso che questa umanità “altra”, questi pupi “istituzionali”, debbano occupare palchi e prime file? In quale Tavola delle leggi sta scritto che bisogna segnare questo solco tra pupazzi ed uomini? Tra significanti e significati? L’artifizio del Potere, il teatrino delle ritualità perpetua le sue risate cianciose anche di fronte alla lama mortale di Cio-Cio-San. Su quella lama c’è inciso:
“Con onor muore chi non può serbar vita con onore”.E quale onore possono esprimere queste sete, questi gioielli, questi frac, se non hanno avuto neppure il pudore di lasciare nei loro armadi di ebano la loro chincaglieria? Mentre a pochi passi brucia ancora la carne innocente degli operai della Tyssen Krup, il mare inghiotte altri disperati e ad Aleppo e Mosul anche l’aria è diventata sangue.
Io non voglio dire che debba chiudere la Scala. Lo so che, nonostante tutto, lo spettacolo continua. So di certo però che Puccini non vorrebbe vedere in teatro nessuna gallina con penne colorate e nessun pinguino lucidato.
Diego Sergio Anzà