PATTI – Halloween, cosa c’è nella zucca ?
Come si può provare piacere, in un contesto storico in cui, quotidianamente, il male sembra aver preso il sopravvento, ad inneggiare alle tenebre e al macabro ? Come si può avvertire il desiderio di “fare la caricatura” della morte, quando tutto ciò che ci circonda “sa” di morte ?
Eppure, col trascorrere del tempo, sembra che tutto questo faccia più presa della vita, della luce, della bellezza. Forse è un modo per mascherare i nostri limiti, le nostre fragilità, la nostra finitezza ? Forse dipende dal fatto che il “buio” abbia preso il sopravvento e sia diventato, purtroppo, la normalità ?
Forse perché è un messaggio più affascinante – e questo sarebbe davvero incomprensibile – di tanti altri che pure potrebbero essere più “nutrienti” per la vita ? Forse, pur pensando di essere cultori delle nostre tradizioni, si è disposti ad accogliere, senza alcun senso critico, ciò che ci viene propinato da altre civiltà che, addirittura, si ritengono più…avanzate e più moderne della nostra ?
E se il ricorso a zucche, mostriciattoli, streghe, fosse una mera espressione di consumismo ? O del “buio” – e sarebbe davvero allarmante – che portiamo dentro ? Eppure determinati valori che un tempo venivano inculcati prima di tutto in famiglia non possono essere oggetto di consumo, non possono essere sviliti o, ancora peggio, dimenticati.
C’è un’altra contraddizione che salta all’occhio: molti genitori non fanno partecipare i figli, specie se piccoli, alle esequie dei nonni o di qualsiasi altra persona perché “si impressionano”; anzi, usano eufemismi e giri di parole pur di non menzionare la parola “morte”. Il medesimo atteggiamento evitante, però, non ce l’hanno in altri contesti.
In molti – e lo si evince da alcune segnalazioni giunte in redazione – ha fatto specie vedere delle immagini (sappiamo che ormai tutto…corre sui social) che testimoniano come l’ex convento San Francesco sia stato ridotto a un…cimitero, con lumini sugli altari e una bara al centro. Riteniamo che il luogo, uno dei “cuori” della storia e della cultura della nostra città, sia stato messo a disposizione dall’amministrazione comunale e ciò ha suscitato tante reazioni discordanti: “A che punto siamo arrivati….” – è stato il commento più ricorrente; “Possibile che si permetta tutto ciò in una chiesa anche se non più adibita al culto ?” E tanti altri commenti più o meno dello stesso tenore.
Ci esimiamo dall’esprimere giudizi, ci limitiamo a riportare i fatti, invero un po’ stucchevoli e – ve lo assicuriamo – a prescindere dal credo religioso.
Non è tempo di crociate, non è tempo di contrapposizioni, ma è allarmante il fatto che la morte e il macabro “facciano cultura”.
La società ha bisogno di essere “illuminata” di luce vera e non di lumini, ha bisogno di riscoprire la bellezza dell’immenso dono della vita e non di bare (ce ne sono già tante); ha bisogno che le giovani generazioni scoprano che le persone che le hanno precedute e con le quali magari hanno condiviso una parte, anche se breve, del cammino esistenziale, sono presenti nella loro vita, attraverso il patrimonio collettivo di sapere, di valori, di fede, di modelli.
No alle crociate, no alle contrapposizioni, ma “chiamare le cose” col proprio nome, sì, sempre e comunque, a rischio di essere impopolari e di essere tacciati di “antichità” e di incapacità di adeguamento alla realtà.
La luce illumina sempre, il buio disorienta sempre; le tenebre tolgono la speranza, la luce rende radioso il presente e proietta verso un futuro per il quale vale la pena osare e spendersi.
Nicola Arrigo
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