Patti: una cittadina che ebbe un ruolo importante nella storia religiosa e nella cultura siciliana, la cui identità merita di essere ridestata (di Lucia Abbate)
Non sappiamo quanti siano i pattesi ben coscienti di appartenere ad una comunità di antico retaggio, ricca di un patrimonio storico culturale di notevole rilievo. Non sembra però che siano molti, dal momento che nella realtà attuale non si notano tanti segni di questa consapevolezza. Quando l’appartenenza ad una comunità, da cui la relativa identità collettiva proviene, si fa riflessa, cioè cosciente, in modo convinto e orgoglioso, gli effetti della sua concretezza operativa non possono non apparire evidenti.
La cittadina di Patti, comune di Messina, situata in una zona collinare, si affaccia sull’omonimo golfo del Mar Tirreno. La sua posizione geografica e la sua storia ne fanno uno dei centri più importanti della provincia di Messina, nel territorio del Valdemone, uno dei tre valli (insieme al Val di Noto e al Val di Mazara), in cui fu suddivisa la Sicilia , dalla dominazione araba fino al periodo borbonico. È inoltre sede vescovile della diocesi di questo e di vari altri comuni dell’area nebroidea (ben 41, da Oliveri a Tusa ). La diocesi di Patti è retta dal 1° febbraio 2017 dal Vescovo Guglielmo Giombanco.
Luciano Catalioto, ricercatore all’Università di Messina, nel suo volume, Il vescovato di Lipari – Patti in età normanna (1088-1194), Messina 2007, ha ricostruito, sulla base di una ricchissima documentazione, la storia di Patti come centro vescovile, nel periodo normanno, dimostrando il notevole impatto che il centro ebbe nella storia politica e socio-economica dell’Isola.
Tra i vescovi più antichi di Patti ricordiamo: san Pietro Tommaso , XIV sec.; Arnaldo Albertin, Bartolomè Sebastian de Aroitia, Gilberto Isfar y Corillas, nel XVI-XVII, questi ultimi, tra i vescovi che attuarono le riforme del concilio di Trento; Michelangelo Celesia (XIX); e, più recentemente, Ignazio Zambito, al posto del quale è venuto quest’anno il vescovo Giombanco.
Il nome di Patti non ha niente a che fare con l’’italiano “patto” ( dal latino paciscor “fare un accordo”). È invece legato al termine greco pactόs, dal verbo pactόo “chiudere , serrare”, significato presente in molti toponimi siciliani, per indicare zone arroccate, chiuse, perché i cittadini fossero protetti dall’incursione dei nemici.
E Patti effettivamente rimase arroccata sino alla fine dell’Ottocento, sulla collina protetta dalle sue antiche mura, per poi espandersi gradualmente verso le vallata e oggi, fino alla Marina, detta appunto di Patti.
Un personaggio importante, nella storia di Patti, in periodo normanno, fu Adelasia, figlia del Marchese Manfredo del Vasto il quale, in punto di morte, aveva affidato al fratello Anselmo figli e beni. Ma anche questo morì e tutti i beni finirono nelle mani avide di un altro erede della casata, Bonifazio, Signore di Gravina. Adelasia e il fratello furono costretti ad emigrare, giovanissimi, in Sicilia. Enrico divenne marchese della Contea di Paternò e Adelasia (nata in Piemonte nel 1074) divenne Gran Contessa di Sicilia. Fu la terza moglie di Ruggero I d’ Altavilla, che fra l’altro fondò a Patti l’antico monastero del Santissimo Salvatore, e divenne madre di Ruggero II, il Normanno, il I re della Sicilia. Dopo la morte del marito nel 1101, Adelasia divenne reggente della Contea di
Sicilia.
Negli ultimi anni della propria vita si ritirò nella cittadina di Patti, dove morì il 16 aprile del 1118 e dove fu sepolta. Le spoglie di Adelasia furono tumulate nella cattedrale di Patti, dove ancora oggi si trova la sua tomba in stile rinascimentale.
Adelasia, quando venne in Sicilia, sbarcando proprio a Messina, si era portata dietro un seguito di piemontesi, che poi si insediarono in varie zone della Sicilia centro-orientale. La Sicilia, in passato, era una meta molto ambita per chi voleva migliorare o accrescere la propria posizione economica e sociale: per la fertilità del suolo, la ricchezza di acque, la possibilità di impossessarsi di varie proprietà.
Quella dei seguaci di Adelasia fu l’inizio dell’immigrazione, che si protrasse fino al XIII secolo, dei cosiddetti Lombardi (da Longobardo, con cui si indicavano genericamente i Settentrionali), che provenivano dal Nord Italia, in particolare dal Piemonte, e si insediarono in quei centri (Nicosia, Sperlinga, Piazza Armerina, Aidone, San Fratello, Novara di Sicilia), in cui si diffuse il caratteristico dialetto galloitalico, di cui tuttora è rimasta traccia.
La Patrona di Patti è Santa Febronia. Di lei non si sa molto, tranne che visse intorno al IV sec., sotto la persecuzione dell’imperatore Diocleziano . Subì delle vessazioni incredibili per la sua fede, di una ferocia fra le peggiori che i martiri cristiani subirono. Alla fine fu decapitata, pare il 25 giugno del 305, a Sibapoli ( Nisibi) attuale Nusaybin, in Turchia, vicino alla Siria.
Alcune reliquie della Santa sono custodite in un’urna d’argento conservata nella cattedrale di San Bartolomeo apostolo, che sorge accanto all’importante palazzo vescovile e a un seminario. I cittadini ricollegano alla loro patrona, Santa Febronia, l’aiuto che ricevettero durante le gravi sciagure come la peste del XVI secolo e, fra i tanti, i terremoti del 1693, quelli fra il 1780 e il 1786, e quello del 1908. Ogni anno, in genere il 5 luglio, la cittadina onora la sua santa patrona con festeggiamenti solenni.
Alle clarisse dell’antico monastero di Santa Chiara, oggi monastero della Sacra Famiglia, fondato a Patti nel 1407 sotto il vescovato di Filippo Ferrerio, risale la ricetta dei dolci tipici di Patti, i pasticciotti di carne e i cardinali, che, dalle fanciulle che frequentavano il convento, furono poi tramandate di generazione in generazione fino ai giorni nostri: i primi sono fatti con un impasto di cioccolato e mandorle e riempite di carne di vitello, mentre i cardinali sono biscotti a base di mandorla ricoperti da una glassa bianca, con decorazioni di zucchero cristallino rosso. Buonissimi!
Lucia Abbate