PATTI – Al teatro Joppolo di Patti le marionette di Savi Manna, ma i veri pupi siamo noi
Un attore che a spettacolo finito scende dal palco per ringraziare il pubblico e stringere la mano ad ognuno degli spettatori presenti in sala varrebbe già il costo del biglietto. Questo è Savi Manna: un artista che sul rapporto empatico con lo spettatore misura l’intera riuscita della sua performance.
Questo, d’altronde, è anche l’intento più o meno consapevole di “Turi Marionetta”: un nonnetto che nell’attesa vana dell’omonimo nipote – uno stimato professore – prende il suo posto e s’improvvisa relatore ad un seminario incentrato proprio sulla storia dei pupi. Ma Turi non è un intellettuale, men che meno un luminare, e tutto ciò che conosce delle marionette lo ha appreso nella penombra degli innumerevoli teatri in cui il nipote ha tenuto le sue magistrali conferenze. Anche lui spettatore, anche lui uno dei tanti, se non fosse il nonno un po’ bizzarro dello stimato professore Barone.
Ecco l’espediente che scardina il rigido rapporto unidirezionale tra chi parla dall’alto di un palco e chi, dal basso, ascolta. Ne vien fuori un racconto avvincente che nell’alternanza tra un colloquiale dialetto catanese e un italiano aulico, volutamente masticato a fatica, ripercorre l’intera storia della marionettistica dalla preistoria alla metà del secolo scorso. In mezzo qualche strampalata divagazione: storie di vita quotidiana, aneddoti sul rapporto nonno-nipote, ricordi mai sopiti di una guerra mondiale combattuta più contro il freddo e la fame che contro gli eserciti nemici. Risultato: tante risate, parecchi spunti di riflessione e applausi a scena aperta per uno spettacolo che dopo lo strepitoso successo riscosso in Italia, Francia e Canada incanta anche il pubblico pattese di “Scena Nuda”, rassegna teatrale targata Filokalòn attualmente in programma al Beniamino Joppolo.
In “Turi Marionetta” la figura dell’anziano e quella del pupo si muovono all’unisono: «L’uno è l’emblema dell’altro – spiega Savi Manna – perché entrambi sono stati messi all’indice in una società che non mostra più nessun interesse verso il passato. Eppure sia gli anziani che le marionette hanno una loro dignità, ed è proprio questa dignità che cerco di raccontare nello spettacolo».
Ripercorrere l’affascinante storia delle marionette attraverso le parole di un amabile vecchietto significa per l’artista celebrare la saggezza popolare in tutta la sua genuinità. Ma non una celebrazione fine a se stessa: al di là delle suggestioni offerte da un racconto incastrato tra verità e leggenda, emerge limpido un messaggio di speranza, un suggerimento di salvezza: smettere di demolire ciò che di buono le nostre radici ci hanno offerto. Rinnegare, dunque, l’appiattimento culturale di una contemporaneità che esprime il suo maggiore punto di forza nell’omologazione a tutti i costi. Sicché le vere marionette, i veri pupi, siamo noi. In carne ed ossa. Niente a che vedere con quegli eroi di legno che amano, combattono e soffrono appesi a un filo magico manovrato da due mani di vecchio.
Ufficio stampa Filokalòn