PATTI – Era il 22 agosto 2007 quando nell’area dell’agriturismo “Il Rifugio del Falco” si scatenò l’inferno. Il ricordo è indelebile
Dieci anni possono essere tanti e possono essere pochi, ma quando il ricordo è indelebile il tempo non “conta”, perde la sua inesorabilità, e non lo potrà mai cancellare. Era il 22 agosto 2007 quando nell’area dell’agriturismo “Il Rifugio del Falco”, di contrada Rocche Litto, a Patti, si scatenò l’inferno che trasformò una spensierata giornata di festa in una tragedia immane. Infatti, a seguito di un maledetto rogo, persero la vita ben sei persone ed altre portano ancora, indelebili, i segni sulla propria pelle. Tanto si è detto, tanto si è scritto, tanto si è sperato, soprattutto da parte dei parenti delle vittime, giustificatamente “assetati” di giustizia, che si facesse piena luce sull’accaduto e che venissero accertate e punite le responsabilità.
C’è chi, forse, ha già dimenticato tutto, archiviando un evento che mai potrà essere cancellato, a maggior ragione dopo che il 30 giugno scorso, in un’area vicina a quella della tragedia del 2007, si è sfiorato un drammatico bis. Nessuno intende ergersi a giudice, nessuno vuole indossare la veste del fustigatore, ma ci sono sei morti che “chiedono” giustizia e di “sapere” perché così impietosamente e tragicamente hanno dovuto lasciare questo mondo. Anche chi è “rimasto”, con ferite interiori che fanno ancor più male di quelle che ne segnano il corpo, “avrebbe” diritto di capire. Scampato al furore incontrollabile del fuoco, per casualità, perché “era scritto così”, perché è stato più “fortunato” degli altri, perché c’è stato chi ha rischiato la vita pur di tirarlo fuori dall’inferno (considerati i ritardi nei soccorsi e la loro lentezza), ha rischiato e rischia ancora di “morire dentro” perché sperimenta, dopo quella di fronte alle fiamme, l’impotenza di poter avere chiare le ragioni dell’immane tragedia.
Qualche anno dopo il rogo, forse perché il sensazionalismo non era stato ancora del tutto sopito, era stato proposto di intitolare una via cittadina alle sei vittime del “Rifugio del Falco”. Non se n’è manco parlato più ! A proposito di vittime, è doveroso ricordarle una per una: Matteo Cucinotta che in quel “maledetto” 22 agosto 2007 festeggiava il suo 52° compleanno e per tale motivo si era spostato da Messina all’agriturismo di Rocche Litto assieme ad alcuni parenti; sua moglie, Lucia Natoli, la mamma di quest’ultima Caterina Maffeini, Costantino Cucinotta, fratello di Matteo, Cettina Scaffidi, dipendente dell’agriturismo e Giuseppe Buonpensiero, cuoco della stessa struttura.
Poi, come detto, c’è chi si è salvato, anche “lottando caparbiamente” con la morte e magari continua a rodersi dentro perché, alla fine, sembra che il vero responsabile sia stato il forte vento di scirocco che in quei giorni mise “a fuoco” molte zone della Sicilia, per cui i mezzi indispensabili non poterono intervenire tempestivamente a Rocche Litto perché impegnati altrove. Un ritornello trito e ritrito pure negli ultimi due mesi, quando il fuoco ha continuato a “divorare”, alimentato da mano criminale, terreni e, in alcune circostanze, case e stalle. Avrà ancora ragione, ai nostri giorni, Cicerone, quando nel “De Oratore” affermava “Historia magistra vitae” ? Sembrerebbe di no, visto che a molti la storia ha insegnato poco o nulla !
Del resto, il professore Giovanni Bovio, del Politecnico di Torino, nominato perito dal Tribunale di Patti per approfondire quanto accaduto a Rocche Litto, è giunto alla conclusione che “quello del Rifugio del Falco è stato un incendio anomalo, eccezionale, imprevedibile”, vale a dire “il frutto di un imprevedibile sistema caotico complesso con un effetti camino ed una variabilità causata dal vento e dalla temperatura del fuoco che cambiava continuamente direzione”. Ergo: colpa del vento !
Il 6 ottobre 2015 dopo meno di un’ora di camera di consiglio, il Collegio giudicante del Tribunale di Patti (Maria Pina Lazzara, presiedente, Ugo Domenico Molina e Ines Rigoli, a latere) emise la sentenza con la quale mandò assolto dal reato di omicidio colposo plurimo perché il fatto non sussiste dai reati di lesioni personali e inosservanza delle disposizioni di legge in materia di prevenzione, sicurezza e salute sul posto di lavoro, l’unico imputato rimasto in causa, il titolare dell’agriturismo “Il Rifugio del Falco” Santi Anzà. Nelle udienze precedenti tutti gli altri imputati (compresi tre dipendenti della Forestale, Antonio Carro, Giuseppe Giordano e Gaetano Galletta) erano stati assolti perché i fatti contestati loro non sussistevano, mentre era stato condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione Mariano La Mancusa per incendio doloso. Il pubblico ministero, Rosanna Casabona, a conclusione della sua articolata requisitoria, invece, aveva chiesto la condanna di Anzà a quattro anni di reclusione. La posizione di Santi Anzà era stata poi stralciata perché il tribunale aveva ritenuto necessario approfondire i fatti affidando la consulenza al professore Giovanni Bovio, che già si era interessato del caso immediatamente dopo la tragedia.
A distanza di dieci anni restano i ricordi di persone splendide, strappate tragicamente alla vita, i rimpianti per ciò che si poteva fare e non è stato fatto, la rabbia dei familiari delle vittime, che non riescono proprio a “passarci sopra” e a trovare adeguate risposte ai propri “perché” che il tempo non cancella, anzi rende ancora più attuali e incalzanti.
Una messa in suffragio delle sei vittime del 22 agosto 2007 sarà celebrata il 23 agosto, alle 19, nella chiesa del “Sacro Cuore di Gesù”.
Nicola Arrigo