MESSINA – Presentata un’interessante mostra di terrecotte sull’antica Sicilia contadina (di Anastasio Majolino)
In una società sospinta celermente in avanti da un rapido sviluppo del progresso tecnologico, scientifico e informatico, che ci fa perdere sempre più contatto con il nostro passato, il richiamo di una “Mostra di terrecotte sull’antica Sicilia contadina”, come quella allestita in una sala del Seminario arcivescovile di Messina, rappresenta un valido motivo culturale per ricordare ciò che è stata una parte significativa del nostro mondo in un’epoca trascorsa. Un invito, dunque a richiamare la memoria identitaria di un particolare momento storico, in cui usi, costumi e tradizioni popolari hanno caratterizzato il nostro modo di essere.
Nell’intervento di apertura della presentazione (svoltasi nel salone delle conferenze, alla presenza dell’Amministratore Apostolico mons. Benigno Luigi Papa, che ha espresso plauso e incoraggiamento per un proficuo proseguimento dell’iniziativa) mons. Cesare Di Pietro, rettore del Seminario, ha precisato che l’esposizione si inserisce in un programma di ampliamento degli spazi già dedicati ai beni culturali, in prosecuzione del salone centrale adibito a “Museo Painiano”, esistente nei locali dello stesso istituto.
Per cui questa artistica collezione di statuette di terracotta (produzione di Sebastiano e Paolo Grasso di Giarre, 1956-1966, di cui un nipote è venuto a porgere il saluto degli artisti insieme al dono di due nuove statuine), acquistata in varie occasioni nel corso del secolo scorso da don Domenico Siracusa, appassionato collezionista di questo genere di artigianato artistico, viene ad arricchire, per sua generosa donazione, il patrimonio culturale del Seminario. Collezione che, si spera al più presto, possa essere resa godibile per i visitatori mediante una esposizione permanente, insieme ad un’altra, più preziosa, di circa 200 antiche icone russe, che sarà donata sempre dallo stesso don Siracusa.
Entrando nel vivo delle dissertazioni riguardanti i significati culturali che da queste statuette possono essere estrapolati, l’antropologo, prof. Mario Bolognari, si è soffermato a spiegare come le diverse terrecotte, con la loro raffigurazione dinamico espressiva, corrispondono a dei “tipi” identificativi. Modelli culturali, cioè, che rendono riconoscibile il mondo agropastorale siciliano di quell’epoca, evidenziandone, per ogni categoria, momenti di vita abituale che oggi non esistono più. Per cui ognuna di queste miniature di argilla, raffigura una “scena di genere”: una sorta di mini “rappresentazione teatrale” che ritrae le peculiarità di un’epoca trascorsa ormai scomparsa, nelle sue diverse componenti: contadini, pastori, pescatori, carrettieri, venditori di quartare, suonatori, giocatori ecc. che raccontano una Sicilia che non c’è più. – ha affermato Bolognari – Una Sicilia che si è trasformata in un’”isola di servizio” pubblico-amministrativo dipendente dallo stato.
Riguardo al materiale usato nella tradizione siciliana per modellare queste opere artistico artigianali, il prof. Giampaolo Chillè, storico dell’arte, ha indicato tra quelli adoperati il legno, la cera, l’alabastro, l’avorio e l’argento, precisando che quello più utilizzato è certamente l’argilla cotta in forno. Una tecnica, la più antica in Sicilia, discendente dai Greci che producevano preferibilmente statuette dedicate alle divinità o a figure antropomorfo. In particolare, mentre la modalità greca di costruire i simulacri era fondato sul procedimento di aggiungere creta alla parte di materia da cui partivano, la tecnica siciliana (come quella dei fratelli Grosso) si basava invece nel cesellare la figura togliendo la creta in eccesso dalla massa iniziale.
Anastasio Majolino