MESSINA – Il lavoro stabile abbandona la provincia di Messina è diventa sempre più precario. Dati report annuale Cisl
Il lavoro stabile abbandona la provincia di Messina, diventa sempre più precario ma è solo uno degli aspetti di una medaglia che non presenta facce positive. Il consueto report annuale sull’occupazione elaborato dal Centro Studi della Cisl di Messina, e diffuso nel corso dell’Esecutivo provinciale del sindacato tenutosi ieri, analizza non solo i dati della crisi strutturale che attraversa il territorio ma evidenzia anche l’aspetto ancora più grave dell’assenza di prospettive per la mancanza di lavoro produttivo.
«La premessa – spiega il segretario generale della Cisl Messina, Tonino Genovese – è che non produciamo queste analisi e riflessioni per il gusto di farci del male o constatare lo stato dell’arte. Lo facciamo perché partendo dagli approfondimenti necessari si possa trovare soluzioni e incidere dove è necessario farlo».
Volendo partire dal tessuto imprenditoriale basta guardare il saldo aziende, nella differenza tra il 2017 ed il 2014, per accorgersi che negli ultimi tre anni si sono perse circa 5.300 aziende.
Se da un lato vi è una tendenziale trasformazione delle aziende in forme societarie più consone alla tenuta sul mercato – le ditte individuali diminuiscono a fronte di un aumento delle forme societarie – quello che si evince è la forte riduzione delle aziende afferenti ai settori classici dell’economia: agricoltura, industria e costruzioni vedono forti decrementi nel numero di aziende attive presenti e, in una provincia in cui il settore del terziario ha sempre avuto un ruolo fondamentale per l’economia, diminuiscono anche le aziende commerciali di ben 696 unità.
Aumentano invece tutte le aziende dei servizi, dell’assistenza e supporto alla persona. Una condizione che rispetta il quadro generale, insomma, con un impoverimento a causa dell’assenza della produzione di beni.
A guardare, invece, i flussi sull’occupazione vi è un incremento del numero delle assunzioni rispetto agli anni precedenti ma non è sintomo di una ripresa dell’economia provinciale perché su 11.648 nuove assunzioni rispetto al 2016, ben 9.533 sono a tempo determinato. E si conferma debolissima anche nel 2017 l’efficacia del Jobs Act nella nostra provincia, già denunciata con gli scorsi report.
Analizzando più approfonditamente, sono interessate tutte le fasce di età dall’aumento delle assunzioni ma quella che aumenta maggiormente, con 4.927 nuove assunzioni rispetto al 2016, è la fascia di età compresa tra i 45 e i 65 anni di età. Tra i settori merceologici ancora una volta il Commercio e Servizi registra la quota di assunzione maggiore con +7.293 assunzioni.
«C’è una controtendenza rispetto al 2016 – aggiunge Genovese – cioè un lievissimo incremento del dato occupazionale che però si scarica tutto su contratti a tempo determinato e su fasce medio-alte d’età. Significa che il nostro territorio comincia ad intravedere delle opportunità maggiori rispetto allo scorso anno, ma non sono soluzioni strutturali o di prospettiva».
Ma l’aspetto più preoccupante esaminato in questa edizione del report arriva dai dati estrapolati sui “Conti Nazionali” dell’ISTAT che divide l’Italia in tre macroaree, del Nord, del Centro e del Sud.
L’aumento del PIL per le regioni settentrionali, con il nord che aumenta di 1,6 punti percentuali, avviene a fronte di una diminuzione per il centro dello 0,36% soprattutto e del sud che perde addirittura l’1,23%. La produzione, insomma, abbandona il Sud e le Isole e si sposta al Nord e conseguentemente anche i redditi da lavoro. Tra le cause imputate ci sono la grave arretratezza infrastrutturale, imprenditoriale, lavorativa ed economica delle regioni del Sud.
«Da questi dati nasce una considerazione – conclude Genovese – la popolazione continua a diminuire perché non ci sono opportunità di lavoro. Abbiamo fatto nei giorni scorsi riferimento alla necessità di costituire la Zes anche a Messina per attrarre e favorire gli investimenti. La Zes e tutti gli altri strumenti a disposizione sono elementi che devono dare e creare opportunità altrimenti il nostro territorio continua a desertificarsi. Il numero delle aziende, anche nell’ultimo anno, continua a diminuire: vuole dire che non c’ produzione. E senza produzione non c’è lavoro, senza lavoro non c’è reddito e quindi non ci sono speranze di avere una prospettiva».
Redazione da comunicato stampa