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LA CITTÀ DEI CLOCHARD di Diego Sergio Anzà

LA CITTÀ DEI CLOCHARD di Diego Sergio Anzà
Settembre 22
10:08 2016

È proprio grande questa città. È una strana città. Non ha case, non ha bar, non ha cinema, non ha negozi, non ha giardini. E non ha il fiume ed il mare. Ha tante strade e tanti marciapiedi. Infangate e divelti. Ha ponti sbilenchi come bocche sdentate, come gole trafitte. Ha muri alti, di pietre bianche e di calce rossa. Quasi nessuno osa avvicinarsi. Il cerchio è maligno, l’aria acre, il respiro afflitto. È la città dei clochard. È in Italia. Vi abitano ottantamila scarti. Di giorno, dietro il muro trovano qualche lettera di conforto. Di notte, succhiano una stella e giacciono tra cartoni e stracci. Quando muoiono, i loro fratelli a quattro zampe svegliano il mondo.clochard_004

Io non ho mai visitato questa città. Solo una volta ho preso i miei occhi tra le mani e li ho posati sul muro. Mi hanno sempre detto di non vedere e nulla ho visto. Le ombre non hanno colori. Poi si è aperto un abisso, e dalla terra secca è affiorato un palazzo scuro, senza finestre e senza balconi. Ho ripreso i miei occhi, ho disubbidito e ho scavalcato il muro. Solo un lupo ha guaito. Nel palazzo scuro c’erano scale d’oro, letti d’argento, poltrone di pelle viva, cucine di cristallo e scrivanie di mogano americano.

clochard_005Mi hanno accolto tre uomini gentili ed eleganti. Piacere, sono il dott. BANK, padrone di casa; piacere, sono il dott. POL, il segretario; piacere, sono il dott. STAMP, il narratore. Si è aperta una grande porta ed è apparso un quarto uomo. Piacere, sono il dott. SCIENT. Aveva sulla testa un enorme microscopio di smeraldo.

Ho chiesto: ma che c’entrate voi nella città dei cochard? All’unisono: per non sentire il guaito dei cani e per non sentire il lezzo delle ombre, viviamo da cento anni sotto terra. Ora chissà come e perché, una voragine ci ha spinto in questa orrenda città. È un grosso guaio. Chi si occuperà più di far girare il mondo? Chi farà danzare i Numeri verdi e rosa? Chi parteciperà alla danza e la proteggerà? Chi la racconterà?
Piangente il dott. Scient: ed io che farò del bosone?

Guardate un po’, che tragedia planetaria. E quegli scarti di ombre, fuori, che vivono da incoscienti in mezzo agli stracci.clochard_003

Sbigottito, ho azzardato una proposta. Da anni e anni fate girare il mondo, lo fate danzare. Potreste per qualche mese rallentare il Grande Motore. Magari, a piedi scalzi, fare un giretto in questa orrenda città. E che avessi detto. Giù dalle scale d’oro mi hanno buttato. E sia.

Ho cercato di saltare oltre il muro degli scarti. Si è avvicinato un Fido col pelo sporco. Tra i denti buoni, un cartone. C’era scritto:
” Si narra di un’ombra che ebbe il sopravvento
di stagioni torchiate e perdute
nemmeno il mosto gli rimase
solo il puzzo dei vespasiani
e un laconico latrare tra gente indifferente”.

ORMAI SOLO LE OMBRE SANNO SCRIVERE POESIE.

 

Diego Sergio Anzà

Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo.

Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo.