DIARIO NOTTURNO – Maledetto avvelenatore (di Diego Sergio Anza’)
Wanted. Cerchiamolo, scoviamolo. Diamo un volto a questo mostro schifoso che si aggira nel paese e nelle campagne, avvelenando cani innocenti ed indifesi. Dopo i bocconi di morte che ha gettato in alcune strade, ieri è tornato in azione a Verdù.
Ha colpito di nuovo con ghigno, lui sì, di bestiale ferocia. Nel cortile di una casa, c’era un fratello a quattro zampe felice, ben nutrito, accudito, amato. L’homo non erectus ha deciso che quell’amico unico ed insostituibile, doveva piegare il suo corpo all’incomprensibile atroce dolore. Forse alla morte. Gli ha lanciato, con i suoi artigli, esche avvelenate. Ha vomitato il suo fiele.
Spiegare gesti abietti come questi non è scontato. Ci si potrebbe rifugiare in analisi psicologiche, psichiatriche o antropologiche. Credo che tanta gratuita e, soprattutto, banale efferatezza, non meriti sofisticate disquisizioni scientifiche. Neppure le parole della Arendt possono avere, in questo caso, un accreditabile riscontro.
Qui siamo di fronte alla “semplicità ” del sadismo di…giornata. Di fronte ad un vuoto del pensiero e dell’anima che si raggruma nella disperata voglia di trasgressione maligna. Un gomitolo di odio che vive dentro e che si sfilaccia in volute diaboliche. L’avvelenatore è un uomo qualunque. È un vigliacco. Vive nell’ombra, negli angoli più angusti della vita. La sua “naturale” volontà d’identificazione e di potenza, è perennemente frustrata.
Per sfuggire al suo inconsapevole spasmo, si fa consapevole attore di una tragedia scritta in un antro anonimo. Si nasconde nella solitudine della malvagità. Senza sovrastrutture, senza storia. Non può che esercitare il suo “Io” scisso e fuggevole se non contro l’innocenza indifesa. È il “divertimento” della nullità. La mostruosità banale che ghermisce e fugge. La mostruosità dell’uomo qualunque. Incapace di qualsiasi empatia e di confronto, trova in un essere indifeso l’unico obiettivo alla sua portata. Si deifica e dà la morte. Poi, tronfio, torna a passeggiare per qualche istante nel sole, in affannosa attesa della ” sua” nuova notte. E intanto nelle sue tasche tiene pronti altri bocconi avvelenati. E intanto per un altro fratello a quattro zampe, si avvicina il pasto della sofferenza mortale.
Wanted. Cerchiamolo, snidiamolo, questo maledetto avvelenatore dei nostri amici più fedeli. Tutto San Piero e contrade aprano bene gli occhi e drizzino le orecchie. Lo so, è quasi impossibile trovarlo ed identificarlo, data la sua natura di uomo qualunque. Ma chissà, qualche traccia potrebbe lasciarla e tutti dobbiamo impegnarci a vederla subito. E siccome i nostri cani sono incapaci di difendersi dal male che non conoscono, è importantissimo che su di essi aumenti la vigilanza.
I cani, come diceva Totò, sono bambini muti. Hanno bisogno di essere trattati come membri effettivi e speciali delle nostre famiglie. Non sono “giocattoli” da regalare per l’onomastico o per Natale. Non sono in fondo…”animali”. Sono di gran lunga migliori di noi. Perché digrignano i denti solo per difendersi, non conoscono la ferocia premeditata che appartiene solo agli uomini. Non lanciano biscotti di veleno nei recinti delle nostre abitazioni.
Se un cane viene accolto a casa, è un nostro figlio e non può essere lasciato, come spesso succede, nell’incuria di notti fredde e velenose. Chi si comporta così, diventa complice dell’avvelenatore. Non sono ammesse giustificazioni di alcun tipo. Altrimenti è meglio sottrarsi alla gioia infinita di avere accanto l’amico più straordinario del mondo. Io tempo fa ho scritto che l’unico vero motivo per cui non vorrei mai morire è perché non potrei più vedere gli occhi di un cane. In quegli occhi c’è infatti il senso più profondo dell’armonia, della bellezza e dell’amore universali.
A tutti gli amici di Argo, faccio una proposta. Se riusciamo a scovare il maledetto avvelenatore, oltre alla “benevola” pena prevista dalla legge, gli infliggiamo noi una condanna più efficace. Lo obblighiamo….. all’ergastolo di vedere più volte al giorno (ed anche la notte) il film Italo. La straordinaria storia del randagio di Scicli, divenuto il simbolo concreto di tutte le virtù della comunità.
Se non bastasse quanto ho scritto, propongo un pensiero di Émile Zola: ” Il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà “.
Diego Sergio Anzà