DEPRESSIONE PERINATALE – cos’è e come riconoscerla
La nascita di un figlio, sebbene accolta con sentimenti di gioia e benessere, è un evento destabilizzante che comporta una serie di compiti a cui i singoli membri e l’intero sistema familiare devono far fronte. Già a partire dalla gravidanza ai futuri genitori è chiesto di riorganizzare le rappresentazioni di sé e ristrutturare il rapporto di coppia, al fine di creare uno spazio mentale entro cui accogliere il nascituro.
La donna vive questa esperienza molto intensamente, in quanto è lei che accoglie in grembo il bambino, sperimentando molteplici cambiamenti legati alla maturazione e all’accrescimento del feto. Deve fare i conti con le modificazioni del proprio corpo, modificare il proprio stile di vita e i ritmi lavorativi. Inoltre, in questa fase emergono una serie di preoccupazioni e angosce relative alla salute del bambino, al parto, alla fase post-partum e alla gestione delle aspettative percepite da parte dell’ambiente.
L’uomo vive un coinvolgimento diverso, prevalentemente attraverso i cambiamenti del rapporto con il partner, affrontando anch’egli una serie di fattori di stress specificatamente associati alla gravidanza, tra cui l’insorgere di paure e preoccupazioni per il benessere del bambino e della madre.
L’arrivo del nascituro comporta per entrambi l’acquisizione del ruolo genitoriale, una nuova organizzazione del tempo e dello spazio in funzione delle esigenze del neonato e la ristrutturazione delle relazioni tra i partner, con la famiglia d’origine e la rete sociale più ampia.
Durante questa delicata fase di vita, possono insorgere manifestazioni depressive di varia intensità. Il periodo post-natale, soprattutto nelle prime settimane di vita, è molto stressante per la madre, impegnata a trovare un equilibrio tra i bisogni del bambino e il proprio benessere fisico e mentale. Si stima che circa il 45-80% delle donne sperimenta un disturbo dell’umore lieve e transitorio, definito baby blues o maternity blues, caratterizzato da fluttuazioni dell’umore, pianto, irritabilità, mancanza di concentrazione, disturbi del sonno e dell’appetito, paure o preoccupazioni, difficoltà di interazione con il neonato. Tale fenomeno, legato soprattutto ai cambiamenti ormonali, è considerato una risposta fisiologica che emerge solitamente da tre a cinque giorni dopo il parto e nella maggior parte dei casi si risolve spontaneamente entro 15 giorni dalla nascita.
Sebbene la maggior parte delle donne riesca a superare questo momento, altre sviluppano sintomi più gravi e persistenti, che facendo riferimento al Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – quinta edizione (DSM-V), rientrano in un quadro di depressione maggiore, con insorgenza nel periodo perinatale, ossia durante la gravidanza o entro quattro settimane dalla stessa, sebbene vi siano evidenze che mostrano come tali sintomi possano insorgere anche nei mesi successivi. La depressione post-partum rappresenta la più rilevante complicanza psichica relativa al puerperio e, nel mondo occidentale, si stima che colpisca circa il 10-15% delle donne che partoriscono (Breese McCoy, 2011; Palumbo et al., 2016). Si manifesta con profonda tristezza, abbattimento, pianto, perdita di interesse o piacere nelle attività, disturbi del sonno, alterazioni dell’appetito, eccessiva preoccupazione nei confronti del figlio, paura di fare male al bambino, senso di colpa eccessivo, difficoltà di concentrazione e di memoria, mancanza di energia, pensieri ricorrenti di morte o idee suicidarie (Palumbo et al., 2016).
L’origine della depressione perinatale ha carattere multifattoriale, dato dall’influenza di dimensioni biologiche, psicologiche, relazionali e ambientali. Una delle caratteristiche del parto è la diminuzione di diversi ormoni steroidei, per cui alcune teorie postulano che il maternity blues o l’emergere di un quadro depressivo conclamato in donne particolarmente vulnerabili possano essere spiegati da queste variazioni. Tuttavia, solo un sottogruppo di madri sviluppa la depressione perinatale, pertanto è necessario prendere in considerazione più elementi che interagiscono influenzandosi reciprocamente. Alcuni fattori di rischio includono una storia familiare di disturbi dell’umore o una precedente diagnosi di depressione, bassa autostima, relazione coniugale insoddisfacente, scarso sostegno sociale, esposizione a eventi di vita stressante, inclusi episodi potenzialmente traumatici vissuti durante l’infanzia. Altri aspetti riguardano specificatamente il periodo della gravidanza e della nascita, come le complicazioni perinatali, la salute e il temperamento del bambino, i tempi e le modalità del parto, tra cui la nascita prematura (O’hara & McCabe, 2013).
La depressione perinatale incide significativamente sul benessere personale e sul funzionamento della donna, sul legame di coppia e sul figlio, in quanto i primi anni di vita costituiscono una periodo critico per molti aspetti dello sviluppo. La presenza di sintomi depressivi ostacola la funzione materna, influenzando negativamente sia le azioni messe in atto in risposta ai bisogni primari del figlio (alimentazione, sonno, sicurezza), sia l’interazione diadica.
Diversi studi hanno evidenziato che la presenza di uno stato depressivo inibisce l’adozione di comportamenti di accudimento positivi, come l’allattamento prolungato al seno, la partecipazione a visite mediche regolari, l’uso di dispositivi di sicurezza domestica e sui mezzi di trasporto (es. seggiolini). Tutto questo può avere delle ripercussioni sulla salute fisica del neonato: in uno studio condotto su 107.587 donne è stato visto che i figli di madri con una diagnosi di depressione, durante la gravidanza e per i sei mesi successivi al parto, hanno avuto tassi significativamente più alti di infezioni gastrointestinali e infezioni del tratto respiratorio inferiore (Ban et al. 2010, O’hara & McCabe, 2013).
La depressione post-partum contribuisce all’instaurarsi modelli disfunzionali di interazione genitore-figlio, che possono essere caratterizzati da ostilità, oppure ridotta responsività. Inoltre, sembra aumentare il rischio di episodi di abuso e trascuratezza. A lungo termine, ciò incrementa la possibilità di conseguenze negative per lo sviluppo del bambino. E’ stato dimostrato che la presenza di depressione materna gioca un ruolo chiave nello sviluppo di problemi internalizzanti (es. ansia, ritiro sociale) e esternalizzanti (es. impulsività, aggressività) durante la prima infanzia e l’adolescenza. Da un punto di vista cognitivo, sembra predire un ritardo nello sviluppo del linguaggio e un quoziente intellettivo più basso. Tra le varie spiegazioni avanzate per comprendere tali esiti, alcuni autori riferiscono che la depressione perinatale è legata a ridotta affettività positiva, percezioni negative di sé e degli altri, compreso il proprio bambino. Inoltre, le donne che sperimentano sintomi depressivi tendono a fornire al figlio minori stimoli e, quindi, ridotte opportunità di apprendimento (Stein et al., 2008; O’hara & McCabe, 2013).
Sebbene la grande maggioranza degli studi inerenti la depressione nel periodo perinatale riguardano la donna, in tempi più recenti si è iniziato a rivolgere l’attenzione anche agli uomini. Una revisione delle ricerche sull’argomento, condotta nel 2015, ha sottolineato che i padri, similmente alle madri, possono sviluppare un quadro di depressione dopo la nascita dei figli, evidenziando come una storia personale di depressione e la presenza di un disturbo dell’umore del partner siano elementi predittori significativi. Altri fattori associati a un elevato rischio di depressione perinatale tra gli uomini includono: età avanzata, bassi livelli di soddisfazione coniugale, comunicazione disfunzionale tra i partner, percezione di essere esclusi dal legame madre-bambino, fattori di stress finanziari, mancanza di supporto sociale. La persistenza di sintomi depressivi nell’uomo, come nel caso della donna, può influire negativamente sull’ambiente familiare: sembra essere associato a un peggioramento del legame coniugale e a effetti dannosi a lungo termine sulla sviluppo fisico, cognitivo, emotivo e sociale dei figli (Edward et al., 2014).
Le informazioni riguardanti la depressione perinatale e su come essa incida sul benessere dei genitori e del bambino, ci consentono di sottolineare la necessità si individuare precocemente i soggetti a rischio. A tal proposito, sarebbe opportuno integrare lo screening della salute mentale nel sistema di assistenza fornito nel corso della gravidanza e dopo il parto. A partire da ciò, si potrebbero attivare trattamenti preventivi e di sostegno che hanno lo scopo di ridurre la probabilità d’insorgenza del disturbo o mitigarne gli effetti.
Conoscere questi fenomeni consente anche di capire che diventare genitori è tutt’altro che semplice, che in alcuni casi possono insorgere delle dinamiche che non consentono di godere pienamente di questa esperienza, anzi possono portare a conseguenze negative per sé e per gli altri. Da qui l’importanza di chiedere aiuto e accettarlo, sapendo che non si è soli in quanto altre persone possono sperimentare le stesse difficoltà, e avendo la consapevolezza che è possibile cambiare.
Bibliografia
Edward, K. L., Castle, D., Mills, C., Davis, L., & Casey, J. (2015). An integrative review of paternal depression. American journal of men’s health, 9(1), 26-34.
O’hara, M. W., & McCabe, J. E. (2013). Postpartum depression: current status and future directions. Annual review of clinical psychology, 9, 379-407.
Palumbo, G., Mirabella, F., Cascavilla, I., Del Re, D., Romano, G., & Gigantesco, A. (2016). Prevenzione e intervento precoce per il rischio di depressione post partum. Rapporti ISTISAN, 16, 31.
dott.ssa Collorafi Valentina
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