A Dio Papa Francesco. Non dimenticarti, ora più che mai, di pregare per noi !

E’ la quinta volta che mi capita di “vedere” morire un Papa e sono sempre sensazioni particolari, che vanno ben oltre il credo e l’appartenenza alla Chiesa cattolica.
Sono cresciuto con San Giovanni Paolo II che, indubbiamente, rimane per me il punto di riferimento insostituibile, ma anche Papa Francesco ci lascia un’eredità ricchissima.
Non è facile compendiare le emozioni e i sentimenti del momento, non è facile spiegare a parole la reazione interiore quando, stamattina, ho letto sull’Ansa la notizia della sua morte.
Avevo avuto la gioia di incontrarlo il 25 e 26 gennaio scorsi, a Roma, in occasione del Giubileo delle Comunicazioni Sociali. Già erano evidenti i segni della sofferenza; nell’Aula “Paolo VI” nemmeno lesse il discorso; domenica 26, durante la celebrazione della messa nella Basilica di San Pietro, pronunciò a fatica l’omelia.
Ma era lì, forte più che mai, pronto a portare una croce che si sarebbe fatta sempre più pesante.
Posso dire, con sano orgoglio, di essere stato presente alla sua ultima “vera” celebrazione giubilare e di aver incrociato il suo sguardo di papà – con l’accento, non è un errore di battitura – benedicente ed accogliente.
Il primo sentimento, comunque, è stato quello della gratitudine, per quanto ha seminato nella Chiesa e nel cuore degli uomini, con pacatezza ma anche con schiettezza, col tono della misericordia, ma anche in modo chiaro ed inequivocabile.
Gratitudine per averci fatto sperimentare cosa significhi essere sempre dalla parte di Cristo, cosa significhi amare la Chiesa, sentirla “madre e maestra”. Gratitudine per avere scelto, in un mondo disperato, ripiegato su se stesso, chiuso nell’egoismo che acceca, la speranza come tema dell’Anno Giubilare. Gratitudine per aver chiamato sempre le cose “col loro nome”, senza giri di parole; gratitudine per non “essersi nascosto” nei giorni della sofferenza ed aver voluto che tutto, circa la sua salute, venisse comunicato con la massima verità.
E poi la gratitudine per averci insegnato, con i fatti, cosa significhi “chinarsi” sull’altro, su chi è solo, povero – non a caso scelse il nome Francesco – (non solo di mezzi ma anche e soprattutto di interiorità), su chi vive nelle “periferie” o è considerato lo “scarto” della società. Gratitudine per averci fatto capire cosa significhi voler bene tutti, sempre e comunque, cosa significhi – e lo ripeteva spesso ai giovani – non stare comodamente seduti in poltrona, ma “sporcarsi le mani” per aiutare l’uomo che soffre, che ha bisogno anche di una semplice parola, di un semplice sorriso.
Un’altra sensazione mi ha subito “preso”: come se avesse “aspettato” la Pasqua, come se ieri avesse voluto “salutare” la sua Chiesa, simbolicamente presente nei tanti fedeli che gremivano Piazza San Pietro, per ricongiungersi al suo Signore risorto, che, fino alla fine, ha testimoniato, con tenacia e forza incredibili, la tenacia e la forza del Vangelo.
Tanti suoi insegnamenti conserveremo nel cuore; su tutti credo dovrà “accompagnarci”, stante anche l’attuale situazione mondiale, il suo costante, instancabile richiamo alla pace, che ora potrà impetrare direttamente dalla Fonte della pace. Così, magari, potrà veder realizzato dal Cielo ciò che non è riuscito a “vedere” in terra.
Concludo con la frase che ripeteva alla fine dell’Angelus: “Per favore: non dimenticatevi di pregare per me”. Non lo dimenticheremo mai; tu, però, carissimo Papa Francesco, non dimenticarti, ora più che mai, di pregare per noi !
Nicola Arrigo
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