SAN PIERO PATTI – Alla scoperta dell’identità sommersa ( di Anastasio Majolino)
C’è uno strano fenomeno che si verifica specialmente nei paesi del sud, da cui non sono certo esenti i centri abitativi del nostro circondario; riguarda certi bei luoghi della nostra provincia che ci è dato visitare con piacere, ma di cui non conosciamo a fondo l’anima, perché, inspiegabilmente, rimane in gran parte sommersa. Un fenomeno che mi fa pensare a ciò che a volte accade alla cosiddetta “argenteria di famiglia” in molte delle nostre case. Per cui tanti splendidi oggetti di ottima fattura, belli, preziosi, ma soprattutto di grande valore, in quanto segni importanti che fanno risalire a ricordi ricchi di storia, tradizione, caratteristiche identitarie familiari e collettive, idonee persino a farci rintracciare apici di un’antica origine gentilizia, che invece di essere bene esposti e valorizzati, rimangono sepolti nell’oscurità dell’abbandono. Possibilmente relegati nel chiuso di un armadio, oppure in qualche baule defilato.
Ebbene, Mi è capitato di pensare ad una simile comparazione visitando un incantevole “paese che non dico”, disteso su un dolce pendio affacciato su una vallata lussureggiante dei Nebrodi, sovrastante il territorio di Patti. Uno di quei centri che, a buon titolo, potrebbero aspirare ad essere eletti “Borgo dei borghi”. Un luogo ricco di bellezza naturale, di storia, tradizione e una identità che, seppure saldamente improntata a fierezza e gentilezza accogliente della sua gente, comunicativa e aperta, non è messa affatto nella giusta luce, così da farla emergere nella sua autentica e completa ricchezza.
Percorrendo le invitanti stradine in ascesa di questo “paese che non dico”, che in certi punti aprono squarci di panorami incantevoli, con visione del mare in lontananza, ho scoperto delle realtà culturali interessanti. Innanzitutto un luogo immerso nel verde, e calato in una atmosfera distensiva d’altri tempi, quasi irreale, e tanto, tanto carezzante per chi vive in una città caotica e nevrotizzante. Ma la cosa che ha reso questa visita più densa di osservazioni piacevoli, e contraddittorie, è stato che percorrendone passo dopo passo alcuni dei posti più rappresentativi, mi sono trovato a gustare un’esperienza di cospicuo valore umano e spirituale, che non pensavo di poter vivere in maniera così significativa e coinvolgente nel breve spazio di una mattinata. Visitando alcuni luoghi sacri tra i più belli e importanti (straordinario un antico convento dei Carmelitani con un chiostro meraviglioso), ho potuto scoprire – certamente, solo “una parte per il tutto” – una serie di opere d’arte antiche e pregiate, che la disponibilità di una cortese “sampietrina” (credo si chiamino così gli abitanti del Paese di cui parlo) mi ha permesso di scoprire durante un breve ma illuminante percorso.
Ora, a fronte di queste osservazioni, non si può non rimanere un po’ perplessi e animati da sentimenti alquanto contrastanti, che spingono a chiedersi: come mai un patrimonio culturale della portata di quello che traspare in modo evidente già da una breve ricognizione, rimane in gran parte sommerso? Perché questa ricchezza non è fatta oggetto di adeguata riscoperta, evidenziazione e valorizzazione? Visto che è su questi valori, materiali e immateriali, che bisogna far leva per approfondire consapevolezza della memoria storica, tradizionale, culturale da cui trarre motivi di orgogliosa appartenenza e arricchimento umano e spirituale; quanto serve, cioè, a ridestare e rinvigorire l’identità collettiva senza cui si fa fatica a sviluppare potenzialità sociali e miglioramento della vita comunitaria. Non è facile, però, dare riposte a questi quesiti; perché ci si imbatte nel mistero di certi comportamenti umani inspiegabili. Mi piace piuttosto pensare che in questo bel centro dei Nebrodi – un patrimonio culturale di tutti – non siano pochi quelli che hanno a cuore il desiderio di invertire questo trend piuttosto stagnante, incomprensibile e sconveniente; e che siano disposti a tentare di fare quanto serve per cambiare in qualche modo le cose; su cui, comunque, mi riprometto di tornare a parlare.
Anastasio Majolino